Il giardino di Archimede
 Un museo per la matematica

L'integrazione e la misura


|    integrazione e misura    |   
|    da Cauchy    |    da Riemann    |    da Peano    |    da Jordan    |    da Lebesgue    |

Gli stessi criteri di rigore che Cauchy aveva adottato nel Cours d'analyse vengono seguiti nel presentare i concetti fondamentali del calcolo nel secondo dei trattati da lui redatti per gli studenti dei suoi corsi, il Résumé des leçons données à l'École Royale Polytechnique. Le ultime lezioni del corso (dalla XXI alla XL) sono dedicate all'integrazione.
``Nel calcolo integrale - scrive nell'introduzione - mi è sembrato necessario dimostrare generalmente l'esistenza degli integrali o funzioni primitive prima di far conoscere le loro diverse proprietà. Allo scopo, è stato anzitutto necessario stabilire la nozione di integrale preso entro limiti dati o integrale definito.''
L'integrale è dunque definito in maniera indipendente dalla derivata, salvo poi confrontare le due operazioni, con un punto di vista in un certo senso più simile alle idee sulla misura delle figure che si erano sviluppate con Cavalieri e i suoi continuatori e che erano state spazzate via con l'affermarsi del calcolo infinitesimale, quando prevale l'aspetto di integrazione come operazione inversa della differenziazione.
Per definire l'integrale di una funzione $f(x)$ continua al variare di $x$ nell'intervallo $[x_o, X]$ egli considera una partizione $P$ dell'intervallo in elementi $x_1-x_o$, $x_2-x_1$, ..., $X-x_{n-1}$, e definisce la somma relativa a $P$, oggi detta ``alla Cauchy'', come $S= (x_1-x_o)f(x_o)+ (x_2-x_1)f(x_1)+ ...+ (X-x_{n-1})f(x_{n-1})$. Ciò premesso egli prova che se, infittendo la partizione, gli intervalli diventano ``molto piccoli'',
``il valore di $S$ finirà per essere sensibilmente costante o in altri termini finirà per raggiungere un certo limite che dipenderà unicamente dalla forma della funzione $f(x)$ e dai valori estremi attribuiti alla variabile $x$. Questo limite è ciò che si chiama integrale definito''.

La nuova idea di Cauchy presenta vari aspetti ancora non completi o non soddisfacenti, sui quali si sviluppano riflessioni successive. Ad esempio la mancanza di una chiara distinzione fra continuità e uniforme continuità oggetto in seguito di studi da parte di Weierstrass e della sua scuola; la mancanza di una sistemazione dei numeri reali che rende ambigua l'esistenza del limite delle somme.
Un inconveniente particolarmente grave, specie per la trattazione della serie di Fourier, è il fatto che la definizione valga per funzioni continue o con un numero finito di discontinuità.
Nella ultima parte della memoria del 1829 sulle serie di Fourier, Sur la convergence des séries trigonométriques, Dirichlet si pone il problema dell'integrabilità delle funzioni con un numero infinito di punti di discontinuità, affermando che l'insieme delle discontinuità ammissibili deve essere tale che, tradotto in termini moderni, la sua chiusura non abbia punti interni. A sostegno della sua affermazione egli porta il celebre esempio della funzione che porta il suo nome, cioè la funzione $f(x)$ che vale 1 se $x$ è razionale e 0 se $x$ è irrazionale, dicendo che si tratta di una funzione non integrabile.
Una nuova definizione di integrale che estende la classe delle funzioni integrabili anche a funzioni con un numero infinito di punti di discontinuità è data da Bernhard Riemann nella tesi di abilitazione per ottenere la libera docenza intitolata Ueber die Darstellbarkeit einer Funktion durch eine trigonometrische Reihe datata 1854 che resta però praticamente sconosciuta fino al 1867, quanto viene pubblicata a cura di Dedekind.
Qui Riemann introduce l'integrale che porta il suo nome considerando le somme approssimanti dall'alto e dal basso. Si pone poi il problema di caratterizzare le funzioni integrabili. Il risultato finale è sostanzialmente il seguente:
Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione limitata $f(x)$ sia integrabile è che per ogni $\sigma>0$ e $\delta>0$ esista una partizione dell'intervallo di definizione in un numero finito di intervalli tali che la somma delle lunghezze di quelli nei quali l'oscillazione della funzione supera $\sigma$ risulti minore di $\delta$.
La generalità di tale condizione è mostrata costruendo un esempio di funzione integrabile che la soddisfa e possiede un insieme denso di punti di discontinuità, in contrasto con la condizione ritenuta necessaria da Dirichlet.
La pubblicazione della memoria di Riemann dà origine a una serie di studi che portano a sviluppi in varie direzioni: da una parte la precisazione di concetti topologici e delle proprietà della retta che conducono Cantor a fondare la teoria degli insiemi, dall'altra la costruzione di una teoria della misura che porta fino alla teoria di Lebesgue.
Negli anni successivi compaiono una serie di lavori volti allo studio dell'insieme di discontinuità delle funzioni integrabili che coinvolgono i salti o le oscillazioni della funzione, insiemi radi, insiemi trascurabili, insiemi di prima specie (cioè con derivato ennesimo vuoto); fra questi troviamo i contributi di Hankel, Vitali, Du Bois-Reymond, Smith, Volterra. Una sistemazione organica di questi primi sviluppi sull'integrale di Riemann si trovano nei Fondamenti per una teorica delle funzioni di variabili reali (1878).
Accanto alle caratterizzazioni topologiche va via via sviluppandosi l'idea di una ``misura'' degli insiemi. Stolz e Harnack definiscono ad esempio il ``contenuto'' (``Inhalt'') di un insieme come l'estremo inferiore della somma delle lunghezze di intervalli la cui unione includa l'insieme dato. Cantor, nello stesso periodo, lo considera l'estremo inferiore delle misure degli involucri esterni. Un concetto di contenuto più articolato viene introdotto da Peano nelle Applicazioni geometriche del calcolo integrale del 1887. Jordan poi, nella seconda edizione del Cours d'analyse espone una trattazione simile ma più generale, nello spazio n-dimensionale, con l'utilizzo di plurintervalli. Si definisce misura esterna di un insieme $A$ l'estremo inferiore delle misure dei plurintervalli che contengono $A$ e misura interna di $A$ l'estremo superiore delle misure dei pluritervalli contenuti in $A$. Un insieme sarà poi misurabile (secondo Peano-Jordan) se la sua misura esterna e la sua misura interna coincidono.
La misura di Peano-Jordan così definita risulta additiva (cioè la misura dell'unione di due insiemi misurabili disgiunti coincide con la somma delle loro misure), ma non numerabilmente additiva.
Già Harnack si era chiesto se la somma delle misure di un'infinità numerabile di intervalli disgiunti la cui unione è l'intervallo $(a, b)$ fosse uguale a $b-a$, credendo di poter rispondere negativamente.
Il problema viene ripreso da un punto di vista diverso da Borel il quale dimostra il risultato che Harnack aveva creduto falso e se ne serve come punto di partenza per una definizione assiomatica della misura, enucleando le proprietà che ritiene essenziali:
a)
la misura di un intervallo (aperto o chiuso) è data dalla differenza degli estremi
b)
la misura della differenza di due insiemi misurabili $A$ e $B$ con $A \supset B$, è la differenza delle misure
c)
la misura dell'unione di un'infinità numerabile di insiemi misurabili e disgiunti è la somma delle misure.

Borel indica poi come costruire una classe di insiemi, chiamati poi ``boreliani'', che siano misurabili in questo senso; questi sono la minima classe che contenga gli intervalli e che sia stabile per differenza e per unione misurabile.
La teoria di Borel rappresenta un enorme progresso soprattutto grazie alla numerabile additività che si rivelerà una delle proprietà più feconde. Nel lavoro di Borel essa appare però come mezzo tecnico per lo studio di altre questioni e viene trattata in modo incompleto e quasi marginale.
Spetta a Lebesgue il merito di aver compreso l'importanza delle nuove idee e di averle rielaborate nella sua teoria che trova una prima e completa esposizione nella tesi Intégrale, longueur, aire pubblicata nel 1902 sugli ``Annali di Matematica'' ed è posta in forma definitiva nelle Leçons sur l'intégration et la recherche des fonctions primitives apparso nel 1904.
Per quanto riguarda la misura, egli mette insieme le idee di Borel con quelle di Peano e Jordan definendo dapprima la misura esterna di un insieme $E$ come l'estremo inferiore delle misure degli aperti che contengono $E$; poi, nel caso che $E$ sia limitato e dunque contenuto in un intervallo $Q$, definisce la misura esterna di $E$ come la differenza tra la misura di $Q$ e quella esterna di $Q-E$. Un insieme sarà misurabile se la sua misura interna e quella esterna coincidono. Lebesgue dimostra poi che la differenza di due insiemi misurabili è misurabile e che l'unione di una infinità numerabile di insiemi misurabili è misurabile e ritrova così le condizioni b) e c) di Borel.
Il contributo più importante di Lebesgue è tuttavia l'applicazione di queste idee alla teoria dell'integrazione. Sulla differenza tra la sua definizione di integrale e quella di Riemann, Lebesgue stesso si sofferma nel suo articolo divulgativo Sur le development de la notion d'intégrale, servendosi anche di un paragone con il modo di contare le monete di un commerciante disordinato e di uno che invece le ordina a seconda del taglio. Sostanzialmente l'avere a disposizione una misura molto più duttile permette di avere delle approssimazioni costruite non più mediante una partizione in sottointervalli dell'intervallo di definizione della funzione da integrare, ma ripartendo l'insieme di definizione in sottoinsiemi più generali sulla base dei valori assunti dalla funzione.
La misura non è più usata per caratterizzare le discontinuità delle funzioni integrabili secondo Riemann, ma per ampliare la classe delle funzioni suscettibili di integrazione. Inoltre l'utilizzo di una misura numerabilmente additiva, oltre a rendere misurabili un gran numero di insiemi, porta con sé analoghe proprietà per l'integrale. Questo risulta così godere di proprietà più efficienti come quelle di passaggio al limite sotto il segno di integrale, una delle pietre angolari della teoria e strumento molto potente in numerose applicazioni.
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La definizione di integrale nel Résumé des leçons données à l'École Royale Polytechnique di Cauchy

* Pagina in mostra IX. 1

Luis Augustin Cauchy
Résumé des leçons données à l'École Royale Polytechnique
Supponiamo che, essendo $f(x)$ una funzione continua rispetto alla variabile $x$ tra due limiti finiti $x=x_o$ e $x=X$, si denotino con $x_1$ , $x_2$ , ..., $x_{n-1}$ dei nuovi valori di $x$ interposti tra questi limiti, e che vadano sempre crescendo o decrescendo dal primo limite al secondo. Ci si potrà servire di questi valori per dividere la differenza $X-x_o$ in elementi $x_1-x_o$, $x_2-x_1$, $x_3-x_2$, ... $X-x_{n-1}$, che saranno tutti dello stesso segno. Ciò posto immaginiamo che si moltiplichi ogni elemento per il valore di $f(x)$ corrispondente all'origine di questo stesso elemento, ossia l'elemento $x_1-x_o$ per $f(x_o)$, l'elemento $x_2-x_1$ per $f(x_1)$, infine l'elemento $X-x_{n-1}$ per $f(x_{n-1})$; sia $S= (x_1-x_o)f(x_o)+ (x_2-x_1)f(x_1)+ ...+ (X-x_{n-1})f(x_{n-1})$ la somma dei prodotti così ottenuti. La quantità S dipenderà evidentemente: $1^o$ dal numero $n$ degli elementi nei quali sarà divisa la differenza $X-x_o$; $2^o$ dai valori stessi di questi elementi e, di conseguenza, dal modo di suddivisione adottato. Ora importa osservare che se i valori numerici degli elementi diventano molto piccoli e il numero $n$ assai considerevole, il modo di suddivisione non avrà più sul valore $S$ che un'influenza insensibile. [...]
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La definizione di integrale nel Über die Darstellbarkeit einer Funktion durch eine trigonometrische Reihe di Riemann

* Pagina in mostra IX.2

Bernhard Riemann
Über die Darstellbarkeit einer Funktion durch eine trigonometrische Reihe
L'incertezza che regna su alcuni punti fondamentali della teoria degli integrali indefiniti ci costringe a premettere qualcosa sul concetto di integrale definito e sull'ambito della sua validità. Dunque, anzitutto: che cosa si deve intendere per $\int ^a_b f(x) \,dx$? Per stabilirlo, prendiamo tra $a$ e $b$ una serie di valori $x_1$ , $x_2$ , ..., $x_{n-1}$ che si susseguono l'un l'altro secondo grandezza e denotiamo per brevità $ x_1-a$ con $\delta_1$ , $x_2-a$ con $\delta_2$ ,..., $b-x_{n-1}$ con $\delta_n$ e con $\varepsilon$ una frazione positiva propria. Il valore della somma

\begin{displaymath}S= \delta_1 f(a+ \varepsilon_1\delta_1)+ \delta_2 f(a+ \varep...
...varepsilon_3\delta_3)+...+ \delta_n f(a+ \varepsilon_n\delta_n)\end{displaymath}

dipenderà allora dalla scelta degli intervalli $\delta$ e delle grandezze $\varepsilon$. Se esso ha la proprietà, comunque siano scelti $\delta$ e $\varepsilon$, di avvicinarsi infinitamente a un limite fissato A, non appena diventeranno infinitamente piccoli, allora tale valore si chiama $\int ^a_b f(x) \,dx$ [...]
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La misura in Peano

* Pagina in mostra IX.3

Giuseppe Peano
Applicazioni geometriche del calcolo integrale
I punti di una retta che stanno fra due punti dati, contando ovvero non questi punti, formano un campo, che si dirà segmento rettilineo. la sua lunghezza è una grandezza principale; ogni campo formato da un numero finito di segmenti ha pure una lunghezza paragonabile a quella d'un segmento dato.
Abbiasi ora un campo formato da punti in linea retta, dato in un modo qualunque. Potremo in generale immaginare dei campi formati da un numero finito di segmenti, e dei quali fa parte il campo dato; e potremmo immaginare dei campi formati pure da un numero finito di segmenti, i quali fanno parte del campo dato. Ciascheduno di questi campi ha una lunghezza, e la lunghezza dei primi è maggiore della lunghezza dei secondi.
Se il limite inferiore della lunghezza dei primi campi coincide col limite superiore delle lunghezze dei secondi, al valore comune di questi daremo il nome di lunghezza del campo rettilineo dato. Ma potrebbe avvenire che questi due limiti non siano eguali, e quindi che il limite inferiore delle prime lunghezze sia maggiore del limite superiore delle seconde. In questo caso diremo che il campo proposto non ha una lunghezza paragonabile con quella d'un segmento rettilineo; e al limite inferiore delle prime lunghezze potremo dare il nome di lunghezza esterna del campo dato, e chiamare lunghezza interna il limite superiore delle seconde.
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La misura in Jordan.

* Pagina in mostra IX.4

Camille Jordan
Cours d'analyse de L'École Polytechnique
36. Cercheremo poi di precisare il concetto di estensione di questo oggetto (a cui potremo dare in particolare il nome di lunghezza, di area o di volume, quando il numero delle dimensioni sia 1, 2, o 3).
Considereremo, per fissare le idee, il caso di due dimensioni. Ciascun punto (u, v) di E potrà essere rappresentato geometricamente su un piano di cui u e v sono le coordinate. Decomponiamo questo piano, con parallele agli assi coordinati, in quadrati di lato r. Fra questi l'insieme di quei quadrati che sono interni ad E formano un dominio S interno ad E; l'insieme di quelli che sono interni ad E o che intersecano la sua frontiera formano un nuovo dominio S+S' al quale E è interno. Questi domini hanno area determinata che indicheremo ancora con S e S+S'.
Facciamo variare la nostra decomposizione di quadrati in modo tale che r tenda a zero; le aree S ed S+S' tenderanno verso limiti fissati [...].
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La misura di Borel.

* Pagina in mostra IX.5

Émile Borel
Leçons sur la théorie des fonctions
Ecco ora le nuove definizioni: se un insieme E ha per misura s e contiene tutti i punti di un insieme E' la cui misura è s', si dirà che l'insieme E-E', formato dai punti di E che non appartengono a E', ha per misura s-s'; inoltre se un insieme è la somma di un'infinità numerabile di insiemi senza parti in comune, la sua misura sarà la somma delle misure delle sue parti e infine se gli insiemi E ed E' hanno, in virtù di queste definizioni, misura s ed s' ed E comprende tutti i punti di E', l'insieme E-E' avrà misura s-s'.
Il teorema fondamentale dimostrato a pagina 41-43 ci assicura che queste definizioni non saranno mai in contraddizione tra loro; siamo dunque liberi di adottarle; siamo anche sicuri che la misura di un'insieme non sarà mai una quantità negativa; ma un'insieme può avere misura zero e la potenza del continuo. Tale è l'insieme E considerato sotto [...].
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La misura di Lebesgue.

* Pagina in mostra IX.6

Henri Lebesgue
Intégrale, longueur, aire
3. Dato un insieme $E$ si può in un'infinità di modi includere i suoi punti in un intervallo o in una infinità numerabile di intervalli. L'insieme $E_1$ dei punti di questi intervalli contiene $E$, dunque la misura $m(E)$ di $E$ è al più uguale a quella $m(E_1)$ di $E_1$, vale a dire al più uguale alla somma delle lunghezze degli intervalli considerati. Il limite inferiore di questa somma è un limite superiore di $m(E)$; noi lo diremo la misura esterna di $E$, $m_e(E)$.
Supponiamo che tutti i punti di $E$ appartengano ad un segmento $AB$. Noi diremo complementare di $E$ rispetto ad $AB$, $C_{AB}(E)$, l'insieme $AB-E$. Poiché la misura di $C_{AB}(E)$ è al più $m_e[C_{AB}(E)]$, quella di $E$ è almeno $m(AB)- m_e[C_{AB}(E)]$. Questo numero non dipende dai segmenti contenti $E$ scelti; noi lo diremo la misura interna di $E$, $m_i(E)$ [...].
Diremo insieme misurabile quello in cui le misure interne ed esterne sono uguali, il valore comune di questi due numeri sarà la misura dell'insieme, se il problema delle misura è possibile. Dalle proprietà che seguono risulterà che il numero $m(E)$ così definito soddisfa le condizioni del problema della misura se ci si limita a considerare solo gli insiemi misurabili.
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