La matematica a Roma


Subito dopo la presa di Roma, che diventò la capitale dello Stato unitario, venne intrapresa una politica di rivitalizzazione scientifica della languente Università, con il trasferimento nella capitale di un certo numero di matematici di rilievo: Battaglini nel 1871, Beltrami e Cremona nel 1873, e più tardi Castelnuovo nel 1891. Nel 1900 giunse a Roma Vito Volterra.

Alla fine della prima guerra mondiale si registrò un secondo gruppo di arrivi: Levi Civita nel 1919, Severi nel 1921, Enriques e Bagnera nel 1922, ai quali si aggiunsero Ugo Amaldi nel 1924, Enrico Bompiani nel 1926 e Mauro Picone nel 1932.

Infine, a ridosso della seconda guerra mondiale e grazie alle cattedre liberatesi a seguito delle leggi razziali, vennero chiamati Antonio Signorini e Fabio Conforto nel 1939, e Luigi Fantappié nel 1940.

Nella grande varietà di formazione e di indirizzi di ricerca, si possono trovare delle caratteristiche comuni. In primo luogo, quasi tutti vengono a Roma per restarci; solo Battaglini abbandonò Roma per tornare definitivamente a Napoli, mentre Beltrami, molto portato a cambiare sede, alla fine si stabilì a Roma dopo un primo soggiorno triennale.

Una seconda caratteristica è che quasi nessuno dei matematici menzionati si era formato a Roma. Le rare eccezioni furono Bompiani, che aveva studiato con Castelnuovo e si era laureato nel 1910, e Conforto, che laureato nel 1931 con Castelnuovo ed Enriques, fu forse il più vivace tra i cultori di geometria algebrica della seconda generazione.

Nonostante la concentrazione a Roma di gran parte dei migliori matematici del momento (Roma fu di gran lunga la sede più prestigiosa nella prima metà del ventesimo secolo) non riuscì ad innescarsi quel processo che aveva portato alla creazione della scuola matematica pisana. Naturalmente non mancano matematici di valore che si formarono a Roma, grazie all'insegnamento dei maestri che vi operavano, ma il loro numero e la loro qualità non reggono il confronto con quelli che si erano formati con Betti e Dini tra il 1860 e il 1900: il "miracolo" pisano non si ripete.


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