Matematica e matematici durante il periodo fascista


Nel ventennio fascista le vicende della matematica si sovrappongono a quelle più generali della società italiana. Dal punto di vista istituzionale, vennero creati alcuni istituti di ricerca, che da allora hanno esercitato un ruolo importante nella matematica: il Consiglio Nazionale delle Ricerche (1923), in progetto già nell'immediato dopoguerra, l'Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo (1932) nell'ambito del CNR, e l'Istituto di Alta Matematica (1939).

A fare da contraltare a queste realizzazioni sta il lato totalitario del fascismo, che gradualmente impose a tutti l'adesione completa o in alternativa il silenzio e l'emarginazione. Un primo segnale fu nel 1925 il Manifesto Gentile, in cui si invitavano gli intellettuali ad aderire al regime. Al manifesto rispose pochi giorni dopo Benedetto Croce, con un articolo al quale aderiranno tra i matematici Leonida Tonelli, Ernesto e Mario Pascal, Vito Volterra, Giuseppe Bagnera, Guido Castelnuovo, Beppo Levi, Tullio Levi Civita, Alessandro Padoa, Giulio Pittarelli e Francesco Severi, all'epoca ancora su posizioni liberali. Dall'altra parte, il solo matematico di qualche rilievo fu Salvatore Pincherle.

Sei anni dopo, un decreto imponeva ai professori universitari un giuramento di fedeltà al regime. Venti insegnanti, tra cui Vito Volterra, che rifiutarono di pronunciarlo, vennero dichiarati decaduti.

Infine il 5 settembre 1938 vennero promulgati i "Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista", con i quali i cittadini ebrei furono espulsi dalle scuole italiane. Sulla base di questa legge, vennero allontanati dall'università Beppo Levi, Beniamino Segre e Cesare Rimini a Bologna, Guido Ascoli a Milano, Arturo Maroni a Pavia, Federigo Enriques e Tullio Levi-Civita a Roma, Gino Fano, Alessandro Terracini e Guido Fubini a Torino, Ettore Del Vacchio a Trieste, Eugenio Curiel a Padova, nonché i liberi docenti Alberto Mario Bedarida, Giulio Bemporad, Bonaparte Colombo e Bruno Tedeschi. Gli stessi matematici, oltre a Guido Castelnuovo, Gino Loria e Giulio Vivanti, che erano in pensione, e Vito Volterra, furono espulsi da tutte le Accademie e dall'Unione Matematica Italiana. Il decreto governativo non incontrò praticamente opposizione nella comunità matematica.

Come spesso accade, il peggio doveva ancora venire, e quelli tra i matematici ebrei che non erano emigrati e che non erano morti nel frattempo, dovettero poco dopo nascondersi per non essere arrestati e inviati ai campi di sterminio.


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