Laudatio del
Preside
della
Facoltà di Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Prof. Paolo
Marcellini.
Aula Magna
dell’Università di Firenze
7 giugno
2004
Eric Cornell nel 1995 ha realizzato in
laboratorio uno dei risultati più importanti della fisica moderna, la condensazione
di Bose-Einstein, lungamente atteso dalla Fisica del XX secolo. Tale
fenomeno, puramente quantistico che avviene a temperature prossime allo zero
assoluto, era stato previsto da Einstein nel lontano 1924 e tentativi diversi
si sono succeduti nei decenni nonostante la difficoltà oggettiva di portare un
gas di atomi a temperature tanto basse. La motivazione forte per la
realizzazione di questo nuovo stato della materia risiede nel fatto che si
tratta di uno stato quantistico macroscopico che apre nuovi affascinanti
scenari che prevedono una nuova ottica con “onde di materia” o le possibili
applicazioni nel campo dei cosiddetti “calcolatori quantistici”.
Eric Cornell è nato a Palo Alto, in
California, il 19 dicembre 1961; ha ottenuto la laurea in Fisica presso
l’Università di Stanford nel 1985 e ha
conseguito il PhD al MIT (Massachusetts Institute of Technology)
nel 1990.
Trasferitosi trentenne presso il
laboratorio JILA del NIST (National Institute of Standards and Technology)
e dell’Università del Colorado a Boulder, ha ideato una serie di configurazioni
sperimentali geniali che gli hanno consentito di avere successo laddove altre
grandi scuole avevano fallito. L’importanza del risultato gli ha consentito di
conseguire il premio Nobel per la Fisica nel 2001 con la motivazione ufficiale
“per la realizzazione della condensazione di Bose-Einstein in un gas di
atomi alcalini e per i primi studi fondamentali delle proprietà dei condensati”.
Rivolgendomi in particolare ai non
addetti ai lavori, credo sia utile descrivere con parole semplici il
significato della frase “per la realizzazione della condensazione di
Bose-Einstein”. Satyendra Nath Bose (familiarmente Satyen Bose) è
stato un eminente fisico indiano che, ancor giovane, nel 1924 sviluppò alcuni
calcoli, che oggi diremmo di Meccanica Statistica, con i quali fu in
grado di dedurre direttamente la legge di Planck sulla radiazione di un corpo nero,
ovvero il punto di partenza della Fisica dei Quanti. Bose inviò i suoi calcoli
ad Albert Einstein, il quale li fece pubblicare e ne prese ispirazione per approfondire ed estendere anche alle
particelle dotate di massa il principio dell’indistinguibilità di particelle
quantistiche identiche, ammesso da Bose nel suo lavoro. In particolare
Einstein previde che un insieme di particelle dotate di massa, fra loro
identiche, di un certo tipo (bosoni,
da Bose appunto) potessero collassare
in un unico stato quantistico comune di energia minima, se portate al di
sotto di una temperatura “critica” sufficientemente bassa. Questo è
propriamente il fenomeno della condensazione di Bose-Einstein.
Negli anni successivi risultò chiaro
che le proprietà dei bosoni dipendevano dal valore intero del loro
momento angolare intrinseco (spin); l’altro tipo di particelle
quantistiche, cioè quelle con spin semi-intero, sono dette fermioni, riconoscendo a Fermi il merito di aver scritto nel 1925, proprio
durante la sua breve permanenza presso l’Università di Firenze, un articolo
fondamentale al riguardo (gli elettroni sono fermioni e il loro modo quantistico di comportarsi è molto più
“asociale” di quello dei bosoni: gli
elettroni, proprio in quanto fermioni, si guardano bene da avere uno stato
quantistico in comune fra loro).
Quando la temperatura si può
considerare sufficientemente bassa per il fenomeno predetto da Einstein?
Meno di un milionesimo di grado dalla minima temperatura concepibile, ovvero lo
zero assoluto. Nella scala assoluta delle temperature detta di Kelvin (dal fisico britannico
William Thomson, poi nominato Lord Kelvin, che ha introdotto questa scala nel
1848) lo zero – detto quindi “assoluto” – corrisponde a circa 273.15 gradi sotto lo
zero della scala Celsius. Potenzialmente, lo zero assoluto corrisponde alla
configurazione di minima energia del sistema.
Naturalmente –273°C è una temperatura eccezionale per l’ambiente ordinario: la
temperatura più bassa misurata in natura sul nostro pianeta è –89°C, rilevata in
Antartide; nello spazio interstellare la temperatura stimata è attorno a
–270°C, cioè 3 gradi Kelvin, appena 3 gradi sopra lo zero assoluto. Questa però
non è ancora una temperatura abbastanza bassa per la condensazione di
Bose-Einstein. Occorre più freddo! Negli ultimi decenni sono state sviluppate
tecniche molto sofisticate che hanno permesso di confinare gli atomi di gas in
una regione limitata dello spazio e di far raggiungere loro temperature
dell’ordine di alcuni milionesimi di grado Kelvin; questi progressi hanno
aperto la strada agli ultimi fondamentali passi verso la condensazione di
Bose-Einstein. Alcune di queste idee hanno anche valso il premio Nobel del 1997
agli scienziati che le hanno ideate o raffinate.
Oltre al
raggiungimento di temperature estremamente basse, per la condensazione di
Bose-Einstein occorre evitare la condensazione ordinaria, cioè il
passaggio del campione dalla fase gassosa a quella liquida ed eventualmente
solida, come usualmente avviene quando si raffredda un gas (si pensi al
vapore acqueo che, raffreddato, diventa acqua o ghiaccio, oppure a elementi
come l’idrogeno e l’elio, che per scopi scientifici e industriali vengono
raffreddati per portarli dall’usuale stato gassoso a quello liquido). Al
contrario, la condensazione di Bose-Einstein può avvenire solo in un gas: è
necessario che gli atomi “si ignorino il più possibile gli uni con gli altri”,
ovvero non interagiscano fra loro e fluttuino liberamente, invece che essere
confinati attorno ad una posizione fissa, come avviene nei liquidi e nei solidi
proprio a causa delle loro mutue interazioni. La scelta, operata dal gruppo di
ricerca di Cornell, del gas di bosoni costituito da atomi alcalini (Rubidio) molto
poco interagenti fra loro, è stata decisiva al riguardo (gli atomi alcalini
come il Rubidio hanno un solo elettrone esterno e per questo presentano alcune
proprietà magnetiche naturali).
Il passo
fondamentale per il raffreddamento del gas è avvenuto mediante l’utilizzo della
tecnica del cosiddetto “raffreddamento
per evaporazione” (evaporative cooling): la tecnica consiste nel
facilitare la fuoriscita selettiva degli atomi “più caldi” fra quelli del
campione di gas sottoposto al raffreddamento e si realizza mediante un impiego
assai complesso di laser, campi magnetici quasi stazionari e campi
elettromagnetici a radiofrequenza. Al di là delle complicazioni per la sua
realizzazione nel caso degli atomi di Rubidio, è confortante sapere che il
principio di funzionamento di questa tecnica di raffreddamento è esattamente lo
stesso da tutti noi utilizzato (e da molti inconsapevolmente) quando, per raffreddare il caffè o la
minestra, soffiamo sulla superficie libera del liquido. Non tutti gli atomi sono
alla stessa energia e temperatura: gli atomi più caldi del gas, sollecitati a muoversi,
“evaporano”, determinando in ciò che rimane una temperatura in media più bassa.
Quindi, semplificando, il raffreddamento per
evaporazione è realizzato con un allontanamento degli atomi più caldi:
sulla superficie della minestra si esercita un soffio, mentre al gas di Rubidio
(gas che presenta proprietà magnetiche naturali) si applica un
campo magnetico.
Però
attenzione: nella procedura di raffreddamento per evaporazione degli atomi di
Rubidio si deve evitare di rimuovere dal campione un numero eccessivo di atomi,
altrimenti si rischia di vanificare la procedura di raffreddamento. Infatti,
per realizzare la condensazione di Bose-Einstein occorre portare ad una
temperatura estremamente bassa un numero molto elevato di atomi in un volume
ristretto. In altre parole la densità numerica del campione deve essere
superiore rispetto ad un valore critico.
Queste
difficoltà per alcuni anni sono sembrate insormontabili: molti scienziati
avevano tentato di realizzare la condensazione dei bosoni, ma dopo 70 anni dalla
previsione di Einstein ancora i tentativi non avevano avuto successo! Il
contributo di Eric Cornell è stato fondamentale proprio per risolvere gli
ultimi, ardui problemi per raggiungere il risultato atteso; in particolare, fra
l’altro, quello di escogitare la soluzione per contenere le perdite di atomi
durante la fase del raffreddamento evaporativo.
Siamo
ora alla storia recente: il 5 giugno del 1995,
alle ore 10:54 del mattino, in un laboratorio associato all’Università del
Colorado, la condensazione di Bose-Einstein è stata realizzata per la prima
volta. Eric Cornell, insieme ai colleghi fisici Wolfgang Ketterle e Carl
Wieman, ha ricevuto per questi motivi il premio Nobel nel 2001 a Stoccolma.
Nell’esperimento di Cornell e Wieman è
stato prodotto un condensato puro di circa 2000 atomi di Rubidio ad una
temperatura prossima allo zero assoluto (il numero che esprime la temperatura
raggiunta è così vicino allo zero che si scrive con uno zero, seguito dopo la
virgola da altri sette zeri prima di trovare un 2; in simboli: 2 per 10 alla
meno 8 gradi Kelvin).
Il condensato che si viene a formare è
sufficientemente denso e freddo che l’ampiezza del moto ondulatorio degli atomi
costituenti ha lo stesso ordine di grandezza della distanza fra gli atomi,
tanto da configurare un nuovo stato di materia composto da “superatomi”,
cioè un aggregato (appunto condensato) di atomi con caratteristiche
totalmente coerenti fra loro. L’intero complesso si descrive con una
unica funzione di onda, esattamente come si fa per un singolo atomo.
Essendo la temperatura del condensato
non esattamente nulla, il numero di particelle non infinito ed essendo inoltre
i bosoni sottoposti ad una azione esterna per il loro confinamento, il
condensato non si trova esattamente nello stato di particelle libere previsto
da Einstein. A Eric Cornell va ascritto anche il merito di aver studiato
sperimentalmente il comportamento reale del condensato, che corriponde a quanto
si può prevedere oggi sulla base di complessi calcoli quantistici che tengono conto
realisticamente dei vincoli imposti per la realizzazone degli esperimenti.
La bellezza e la spettacolarità
dell’effetto osservato sono tali che persino i membri del comitato Nobel,
solitamente compassati, nell’annuncio ufficiale hanno usato l’espressione “per
aver fatto cantare gli atomi all’unisono”.
Una domanda spontanea: quale l’uso
di questo nuovo stato di materia? E’ una domanda naturale che, allo stato
attuale, ha necessariamente una risposta incompleta. Le similitudini fra
l’effetto sperimentato e la luce laser suggeriscono alcune possibilità: ciò che
rende differente il raggio laser da un raggio di luce ordinaria è che i “fotoni”,
costituenti elementari del raggio di luce, nel laser hanno tutti la stessa
energia, si propagano nella stessa direzione e con la stessa fase; una simile
coerenza caratterizza la materia costituita da un condensato di Bose-Einstein: un
insieme di particelle identiche, che occupano lo stesso stato quantistico,
aventi proprietà dinamiche coerenti e qualunque loro atto di moto le coinvolge
come un complesso unico. Quando fu scoperto, più di 40 anni fa, non si
prevedeva che il laser sarebbe stato utilizzato così massicciamente,
nell’industria, nella medicina, nella vita quotidiana. Similmente, potremmo
scommettere che il nuovo stato di materia potrà essere utilizzato per costruire
strumenti sensibili ed accurati, o per realizzare e controllare strutture molto
molto piccole, le cosiddette “nanostrutture”.
I fisici fiorentini hanno avuto la
fortuna di assistere all’annuncio della scoperta, che come ho già detto avvenne
nel giugno 1995, durante la Conferenza Internazionale di Spettroscopia Laser
organizzata dall’Ateneo fiorentino. Da allora Eric Cornell è più volte venuto a
Firenze, nel 1997 come “visiting scientist” presso il LENS (European
Laboratory for Non-Liner Spectroscopy), nel 1998 come professore a
contratto della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e,
successivamente per altri soggiorni brevi. Eric Cornell, amante della nostra
cultura sino al punto di aver voluto imparare la nostra lingua tanto da tenere
alcune delle sue lezioni a Firenze in italiano, è da sempre un osservatore
attento degli sviluppi delle attività di ricerca in fisica presso il nostro
ateneo. I rapporti con ricercatori del LENS continuano ad essere calorosi e
fruttuosi dal punto di vista scientifico. Per questo riteniamo che il
conferimento della Laurea “honoris causa” rappresenti un degno
riconoscimento non solo ad un grande scienziato ma anche ad un sincero amico
dell’Italia ed in particolare di Firenze.
La Facoltà di Scienze Matematiche,
Fisiche e Naturali è pervenuta alla proposta di assegnare la laurea ad
honorem ad Eric Cornell con una istruttoria che ha coinvolto tutte le componenti
della Facoltà. La nostra è una Facoltà particolare, che unisce competenze oltre
che in Fisica, anche in Chimica, Informatica, Matematica (discipline che
concorrono alle ricerche che abbiamo descritto), ma anche in Scienza della
Terra e nelle Scienze della Vita: Biologia e Scienze Naturali. Tutti i gruppi
hanno lasciato in disparte gli interessi “accademici” (pur motivati da valide
esigenze culturali) e all’unanimità e con grande entusiasmo hanno proposto al
Magnifico Rettore e al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca la scelta che ora formalizziamo.
In considerazione della eccellente
carriera scientifica, della rilevanza delle sue scoperte e del carattere
altamente innovativo della sua attività, espresso anche nel corso di collaborazioni
con gruppi di ricerca dell’Università di Firenze, la Facoltà di Scienze
Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Firenze conferisce a Eric A.
Cornell, la laurea ad honorem in Fisica. La laurea è valida a tutti gli
effetti di legge.