Fondamentali differenze tra percezione visiva e tattile, come indicatori dei requisiti dei modelli La funzione visiva è preterintenzionale e fornisce al soggetto circa l'80% delle informazioni; al contrario, per conoscere un oggetto con il tatto occorre un atto di volontà: ciò sottintende che l'oggetto deve possedere i requisiti di una buona leggibilità per le dita ed un adeguato fattore di piacevolezza per stimolare l'interesse all'esplorazione. La realtà oggettuale viene conosciuta principalmente attraverso qualità e caratteristiche; quelle di dominio dell'occhio sono: colore, dimensioni, distanza e orientamento; l'oggetto ed il suo contesto vengono percepiti simultaneamente in un campo visivo potenzialmente di circa 160°, senza limiti di estensione. La mano invece raccoglie indizi diversi: forma e dimensioni nella loro "invarianza" legata all'oggetto, indipendentemente dalla distanza o dal punto di osservazione; qualità statiche e dinamiche: rugosità, elasticità, consistenza, peso etc. il tutto entro uno spazio d'azione ridotto. La realtà di chi non vede è sempre, assolutamente tridimensionale, e l'esperienza della deformazione dell'oggetto per scopi rappresentativi è sconosciuta. Un tavolo rettangolare avrà sempre quattro angoli retti e solo attraverso una forma di istruzione-informazione il cieco può accedere ai concetti, intuitivi per noi, quali rotazione, schiacciamento, proiezione, sagoma dell'oggetto, prospettiva. I piccoli che vedono, anche se non sanno riprodurre correttamente certe tecniche del disegno, spontaneamente ne fruiscono e ciò consente loro di possedere un patrimonio di immagini simboliche e spesso convenzionali con le quali entrare in relazione con gli altri ed elaborare i concetti. Se mostriamo ad un bambino appartenente alla nostra cultura il disegno di una casa rappresentata secondo i nostri codici, cioè come un triangolo sovrapposto ad un rettangolo, egli, anche se ha sempre visto edifici urbani assimilabili a parallelepipedi (i condomini tipo) non avrà difficoltà a denominare quell'icona < casa>. Non accade la stessa cosa per un bambino cieco che non abbia seguito un adeguato programma di apprendimento finalizzato a familiarizzare con il disegno a rilievo: egli esplora la mappa e sente una linea chiusa che non evoca alcuna immagine mentale. Nega, a ragione, che quel perimetro possa essere una casa, poiché una casa è sempre volume e mai una linea. Esattamente come la pipa di Magritte: (L'usage de la parole. 1928, Olio su tela, NewYork, coll. Copley). Occorre sottolineare l'importanza del delicato passaggio che consente di padroneggiare il simbolo facendo riferimento a quanto accade ai coetanei vedenti e sui processi spontanei di questi, nella fruizione e produzione di simboli iconici che spesso sono degli stereotipi visivi. Nell'elaborazione dell'immagine visiva si ha una proiezione sulla retina, come su un piano, alla quale vengono assegnati, con una funzione propria della mente di tipo astrattivo-interpretativo, i concetti di spessore, tridimensionalità e lontananza. La mano, a differenza dell'occhio, percepisce il volume degli oggetti: questa modalità tattile di cogliere la realtà viene coadiuvata anche dalle informazioni degli altri sensi residui, quali udito, senso barico ecc. e necessariamente supportata da una efficace attività cinestetica, intesa qui come movimenti non casuali delle mani (stereognosi). La sommatoria degli stimoli forniti da volume, peso, temperatura, elasticità, consistenza, texiture e dai movimenti sistematici-differenziati-finalizzati della mano, costruiscono l'immagine mentale, che, in chi non vede, è costituita dalla globalità dell'oggetto, dalla sua tridimensionalità. Concludiamo dicendo che la visione è il senso della sintesi, cioè coglie prima gli aspetti generali dell'ambiente, il così detto colpo d'occhio, e solo successivamente passa all'analisi dei particolari. L'esplorazione tattile procede in modo quasi opposto: dalle singole parti ricostituisce l'insieme. E' l'attività mentale che ordina e organizza gli input "mescolando insieme" le informazioni per costruire l'immagine mentale che non è nessuna di esse, ma la sommatoria elaborata ed interpretata di tutte; questa modalità si definisce elaborazione sincretica. Questa elaborazione discende da quel concetto di partecipazione attiva del soggetto che Piaget ha teorizzato "come attività percettiva", distinguendola dalla "percezione". Una buona attività esplorativa prevede l'integrazione di tutti gli input: da qui la definizione di percezione aptica (hàptomai=toccare con attenzione). La lettura dell'immagine appiattita sul foglio impone al non vedente uno sforzo astrattivo e di decodifica degli stimoli assai superiore rispetto alla fruizione dell'oggetto reale o del suo modello tridimensionale miniaturizzato. Nell'ambito del bidimensionale a rilievo basso entra in gioco quel patrimonio personale, diverso da persona a persona, rappresentato dalle abilità personali, dalla quantità di immagini che sono state usate nella carriera scolastica, dalle occasioni che si sono presentate per esercitare le competenze legate a questa forma di rappresentazione. La difficoltà maggiore della lettura bidimensionale è legato al concetto di "invarianza della forma" dell'oggetto vero e dall'impossibilità di aver esperienza dell'inganno visivo come abbiamo precedentemente descritto. Riprendendo l'esempio della casa: un solido (una casa appunto), anche se miniaturizzato e fabbricato con materiale diverso dall'originale, è accettabile come "modello rappresentativo" poiché mantiene tutte le attribuzioni iniziali: i rapporti tra le parti, il numero delle facce, l'ampiezza degli angoli.... I connotativi del modellino, per la ricchezza informativa e semantica che possiede, uniti all'essenzialità della forma elaborata dall'operatore, possono fargli assumere il valore di "archetipo" (di casa). Essendo stato rispettato il principio dell'invarianza della forma il prodotto è valido per la comunicazione che passa attraverso l'esplorazione aptica. Se lo stesso solido, però, viene disegnato, necessariamente non viene rispettato quel fondamento: nel trasferimento sul piano si attuano delle deformazioni. Per superare, almeno in parte, questo ostacolo occorre scegliere un punto di vista, secondo il criterio delle proiezioni ortogonali, concetto sconosciuto dal non vedente, però cognitivamente facilmente comprensibile perché legato alla logica geometrica. Una stanza sarà vantaggioso rappresentarla in pianta, come l'impianto urbanistico di una città, una casa preferibilmente sul piano verticale: l'obiettivo è individuare quella proiezione che consente di rappresentare i particolari più numerosi e più significativi dell'oggetto, senza essere una soluzione capziosa. [Una bicicletta disegnata di profilo offre molti indizi per le dita, in pianta è abbastanza misteriosa anche per la vista.]