Raffaella Petti

Alla ricerca di ax2 + bx + c = 0


Vi siete mai chiesti da che punto del passato provengano quelle idee, concetti, nozioni, simboli, tecniche che comunemente usiamo in matematica, scienza che siamo invece abituati a vedere come un qualcosa di così in sé concluso, esatto e definito?

Se avete voglia di iniziare a cercare una risposta, vi accompagnamo all'ingresso di una biblioteca - immaginatela pure un po' buia e polverosa - che contiene libri di matematica di ogni epoca.
Cosa potete trovare aprendo a caso uno dei tanti libri che, disposti in ordine cronologico, vedete stipati sui vari scaffali?
Non crediate che ci sia sempre un rapporto diretto fra la semplicità dei problemi considerati e l'andare a ritroso nel tempo; né che necessariamente aprire libri sempre più antichi significhi trovare linguaggi e tecniche sempre più arretrate e lontane dalle nostre (potreste ad esempio tranquillamente scambiare alcune pagine degli Elementi di Euclide per pagine dei vostri manuali).

Dopo avervi messo in guardia sul fatto che qualche esempio non può assolutamente rendere ragione del cammino della matematica - fatto di lenti progressi, improvvise svolte, strade senza sfondo, innovazioni geniali... - ci limitiamo a proporvi qualcosa di molto più semplice per iniziare a muovervi in questa grande sala.

Pensate ad esempio ad un facile problema che potreste oggi risolvere impostando una equazione o un sistema di qualche equazione in una o più incognite. Prendiamo pure una sola equazione e che non superi il secondo grado: ax2 + bx + c = 0. Facile, no?
Era altrettanto facile tre, quattro, dieci, venti e più secoli fa? E chi sapeva risolverla procedeva come noi?
O se preferite: avreste capito le loro spiegazioni? E loro avrebbero capito le vostre?

Apriamo qualche libro, andando a cercare qualcosa che abbia a che fare con il nostro problema. Dirigiamoci nel cuore della biblioteca e prendiamo un volume di Luca Pacioli intitolato Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Proportionalità. Sotto la "distinzione VIII, V trattato" troviamo qualcosa che fa al caso nostro : provate ad aprire e leggere qui: Pacioli, Summa, p.145.

Rimessa al suo posto la Summa, proviamo con qualche altro libro. Tiriamo giù, pochi scaffali più avanti, un volume di Viète intitolato Opera omnia.
Se mai avete sentito il nome di Viète, questo era probabilmente seguito dall'etichetta "iniziatore dell'algebra simbolica". Egli infatti utilizza lettere dell'alfabeto per indicare incognite (vocali maiuscole) e dati (consonanti maiuscole). In questo modo può svincolarsi dalla trattazione di casi numerici particolari.
Quale sarà allora il modo in cui tratta problemi e scrive equazioni?
Apriamo il volume al trattato col titolo di Zeteticorum libri. Più esattamente, provate a leggere qui: Viète, Opera omnia, p.52.

Leggendo prima Pacioli, ma poi anche Viète, l'impressione che avete ricevuto è forse quella che procedimenti e modi di scrittura (e le due cose non sono disgiunte!) siano piuttosto diversi dai nostri; insomma che nello scambiare anche semplici risultati con tali matematici avreste avuto qualche difficoltà?
Proviamo a spostarci, per l'ultima volta, ancora un po' in avanti e vedere se e quanto, senza pretendere di addentrarci nei contenuti delle varie opere, l'impressione cambia.

Ecco che leggiamo il nome di René Descartes.
"René Descartes... Cartesio! Piano cartesiano! Coordinate (x, y): forse ci siamo?"
Apriamo il volume: si tratta della prima edizione del Discours de la methòde.
Iniziamo a sfogliare l'ultimo saggio: la Géométrie. Non troviamo proprio gli assi ortogonali come noi li tracciamo, ma quasi. Figure ed espressioni sono già molto più familiari. E le equazioni subito riconoscibili.
Provate allora a leggere qualcosa dalle prime pagine (l'originale, che riportiamo, è in francese): ecco un passo in cui Descartes, sempre attento al metodo più che ai casi particolari, spiega come procedere non solo nel caso di un problema di secondo grado, ma più in generale in ogni problema traducibile in un sistema di equazioni:
Descartes, Discours, p.300.